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Le sue filastrocche

Filastrocche


"So di avere il corpo di una debole e fragile donna, ma ho il cuore e il fegato di un re, e per giunta di un re d'Inghilterra."



Fiabastrocche Carmela Russo


La vecchia bigotta
Carmen Russo autrice

C’ era una volta una vecchia bigotta grassa zitella e per niente bella
che abitava dentro una grotta senza finestre e senza una porta,
col pavimento rotto e sgualcito come che fosse un vecchio vestito.
Si era da poco innamorata di un vecchio grassone ed ubriacone
che l’aveva colpita affondata e  ammaliata con il suo sguardo di cane appestato,
e tutta presa da quel sentimento che la vedeva arresa e contenta
mentre impastava una grande torta per rallegrare il suo vecchio ciccione:
prese  una storta e il suo piedone perse la scarpa il calzino e il calzone
che erano uniti da filo di spago come la pelle di un grosso drago.
La cattivona gridò furibonda: imprecazione e malvagità
contro i bambini che dormivan di là da lei rapiti alle loro mamme
mentre cantavan le ninna nanne. “Sveglia svegliatevi brutti monelli
e  ripulite di qua e di là presto non trovo più il mio calzino
nè la mia scarpa nè il mio calzone e tutto fuori è il mio mutandone
mentre la torta stavo impastando ed il mio amore stavo pensando.”
I bimbi corsero giù dal letto dove dormivano tutti insieme
e  rotolarono sul pavimento con stracci e  panni tra i calcinacci
per ripulire il disordine messo da quella strega
che era anche una maga e li toglieva la volontà.
Giunta la sera del grande evento il vecchio grasso fischiava contento
perché un odore sentiva di già di dolci e cibo a sazietà.
La vecchia strega  si preparò tutta invasata di vanità
mise un vestito molto pulito e tra i capelli tanti lillà
tanti gioielli rubati in città una pelliccia di orsetto sul collo
tanto rossetto da sembrar un pollo e  infine mise ai suoi piedoni
due grandi scarpe che sembravan scarponi
con tacco altissimo avute in dono da quell’omone brutto e grassone
per catturar la sua volontà.
Che scivolone prese d’un fiato scivolò lungo la scalinata
fino ad un prato distante di là, tutti  i bambini ridevan felici
ma già la strega era in piedi di già,  corse alla grotta per impaurirli …
ma non vi scorse la torta all’entrata che preparata giaceva di la …
vi cadde dentro con tutta la faccia immersa dentro dai piedi alla pancia
e  non sapendo chi Santo chiamare vi ci annegò non sapendo nuotare
tanto era grande quel losco affare che lei torta osava chiamare
e diventò per lei come il mare grande profondo e senza il fondo.
Il  grasso omone nemmeno la scorse si mise a tavola ed iniziò
senza creanza a riempir la sua panza con morsi grandi e  talmente enormi  
che le mascelle gli si bloccarono e diventarono dure e deformi
e la sua pancia rimase di stucco, ed egli al pari di un mammalucco
vi giace ancora da quelle parti  come una statua di belle arti
tutto di marmo lo ritrovarono ma dalla grotta non lo spostarono.
Invece i bimbi tornarono a casa lungo il percorso da loro preso
dove cantarono a squarciagola e poi raccolsero rose e viole
per darle in dono alle loro mamme mentre di sera cantavan le nanne
per riposare tra quelle braccia ed appoggiare sereni la guancia,
poi ritrovarono tutti i parenti e  da quel giorno vissero contenti.

Filastrocca di Carmen Russo "La vecchia Bigotta"




Giacinto
Autrice Carmen russo

C’era una volta un castello incantato
che risplendente da un cielo stellato
giaceva di notte in un bosco fatato
e chi lo guardava restava ammaliato.
Vi erano dentro tanti folletti
che vi dormivano nei loro letti
e si facevano  scherzi e dispetti
come se fossero stati bimbetti,
poi si svegliavano tra tanto chiasso
e saltellavano sul materasso
scendevano giù  a svelto passo
e  rotolavano come un ammasso.
Scorreva felice la vita al castello
di gioia avvolta come un mantello
ma ecco che un giorno sul più bello:
accadde un bruttissimo grande macello.
Un vecchio omone con pochi dentoni
comprò il castello con tanti soldoni
e  poi armatosi  di tanti bastoni:
cacciò via i folletti dai loro lettoni.
Che notte strana, che grande amarezza
e  anche se fuori tirava la brezza
battevano i denti con tanta scaltrezza:
come  se fossero stati di pezza.
Il vecchio omone rideva contento
di aver procurato così malcontento
e  tutto convinto di avere ormai vinto
urlò il suo nome ….. mi chiamo Giacintooooooooooo!!!!!!!!!!!!!
Passò di li una fata dorata
e appena visti i folletti impauriti
con passo docile e a tratti felpato
gli diede dei dolci e latte macchiato,
poi prepararono la loro vendetta
che per dilemma o per disdetta
li fece raccogliere in fretta in fretta
tante pietrine e tanti sassetti …..
per preparare una grossa polpetta
e offrirla all’ omone cattivo e fifone
mettendola proprio davanti al portone
che divideva il castello dal bosco
come se fosse un affare losco.
Quando al cancello del grande castello
vi fu lo squillo del campanello
il vecchio omone sembrava un fringuello
mentre gridava: che bello, che bello!
Della polpetta si impossessò
e senza parole l’omone restò
poi preparatosi una tovaglia
vi mise sopra una grande teglia
e  alla polpetta fece la veglia
mentre saliva saliva la voglia,
“Ma che odorino, che languorino,
qui ci vorrebbe anche del vino
un po’ di frutta e qualche dolcino”
poi all’ improvviso perse il controllo
e si scagliò contro la teglia
che fu ridotta a una poltiglia
ed ingoiò la grossa polpetta
senza tagliarla nemmeno a fette
come un stupido vecchio citrullo
tra il rimbambito ed il trastullo,
ma tutti i sassi vennero a galla
e rotolavano a mo’ di palla,
“che mal di denti, che mal di pancia”
e nello stomaco come una lancia
vi rotolava la grande polpetta
da lui ingoiata in troppa fretta
e fuoriuscivano tutti i sassetti
duri durissimi e maledetti,
e a uno a uno scoppiarono in pancia
mentre i folletti  dalle finestre
cacciavano piano le loro teste
“ma che dolore” gridava Giacinto
presto aiutatemi la pancia la pancia
avete vinto avete vinto
e riprendetevi il vostro castello
ma prima portatemi all’ ospedale
perché sto male sto troppo male.
Così i folletti vi corsero dentro
con gran spavento ma tutti contenti
ed aiutati dalla fatina
lo ripulirono fino in cantina
da cima a fondo e a capofitto
vi aggiunsero un altro bellissimo letto
per la fatina dal passo felpato
che tutti loro aveva aiutato.
E quell’ omone non fu più trovato
tanto l’ orrore che aveva provato
fu come se fosse … volatizzato.
Rimase invece il castello incantato
coperto da un cielo ancor più stellato.

Filastrocca Carmen Russo




 

Formaggino
Filastrocca di Carmela Russo

Un topino un po’ vivace
piccolino e poco audace
camminava per la strada
quando un giorno l’ha smarrita.
E diceva a tutti quanti:
“sono solo un topolino
e mi chiamo Formaggino,
non ritrovo la casetta
con la mamma che mi aspetta
e a me sembra una disdetta”.
Camminava e poi piangeva
e la strada non vedeva,
io gli chiesi:”Formaggino
ma perché piangi a dirotto
e non chiedi aiuto al gatto
che cammina lì vicino?”.
Formaggino mi rispose:
“sono tondo e piccolino
e mi piacciono i bambini
ma la mamma mi ha avvisato
stai alla larga dai gattini
anche se sembrano belli
perché sono cattivelli
solitari e un po’ monelli”
Passò un gatto senza tatto
che vedendo Formaggino
tutto amico dei bambini
lo invidiò a tale punto
che gli venne un gran tumulto,
quindi andò vicino a lui
e gli chiese : perché mai
non puoi diventar mio amico?
Sono un gatto un po’ diverso
e ai bambini faccio il verso
quando miagolo di notte
sopra i tetti o nelle botti,
Formaggino non parlò
e il gattaccio continuò:
vieni a casa che un pranzetto
ti preparo con rispetto,
Formaggino accettò
e con lui si incamminò.
Giunti a casa il furbo gatto
diventò d’un tratto matto
corse appresso al topolino
che scappò nella cucina
dove all’ombra del camino
vi bolliva un pentolino
preparato dal gattaccio
per riempir la buffa pancia,
Formaggino  lo implorò
ma il gattaccio si voltò:
diede al topo un gran spintone
dentro al vecchio pentolino
e lo ingoiò in un sol boccone,
se ne andò sopra il suo letto
soddisfatto del dispetto
e ridendo a crepapelle
disse poi al topolino:
“sogni d’oro Formaggino
e salutami mammina”.
Il topino furibondo
nella pancia del gattaccio
diventò sempre più tondo
come un grosso mappamondo
che al gattaccio gli scoppiò
tutta quanta la sua pancia,
Formaggino all’improvviso
scivolò sul pavimento
e non fu un divertimento:
scivolando, scivolando
gli si ruppe la mutanda
Formaggino per vergogna
si gettò dentro a una fogna
lì si unì alla sua mamma
che gli fece un grande bagno.
Finalmente a casa sua
fece nanna il topolino
e da lì più non vi uscì
fino a quando non morì.



 
 
 
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